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Come detto nell’articolo riguardante i rituali, i rituali “festivi” norreni erano il blót seguito da una veizla, quest’ultima poteva durare anche giorni, come nel caso dello Jólablót (Yule). I norreni, se paragonati a celti e romani, erano relativamente privi di festività, in quanto tutte simili (sacrifici) e di queste soltanto tre erano importanti e celebrate ovunque: Jólablót, Sigrblót e Vetrablót. Tuttavia, vi sono altre festività, che qui elencherò, e oltre a quelle qui presenti bisogna ricordare che di zona in zona c’erano blót più importanti e che dunque non tutti i norreni seguivano con ricorrenza le stesse festività. Una questione importante è quella della data: nel neopaganesimo moderno, le festività – che tra l’altro non sono neanche fedeli alla tradizione ammaccando del blót – sono festeggiate quasi sempre in periodi diversi, per svariati motivi che ora non starò ad elencare. I norreni festeggiavano sempre soltanto a cavallo tra un mese e l’alto (con eccezione dei Dísablót) e pertanto tutte le festività avvengono nella notte tra il 14 ed il 15 di ogni mese del nostro calendario gregoriano, eccezion fatta per lo Jólablót che è tra 13 e 14, poiché il Mǫrsugr era l’unico mese ad avere 31 giorni anziché 30. L’usanza di festeggiare i blót durante gli equinozi e solstizi è totalmente errata: è confermato dalle fonti scritte che i norreni non avevano idea di cosa fossero equinozi e solstizi, furono introdotti col cristianesimo ed europeizzazione che iniziò circa nell’anno 1200, e si parla già di sueoni (svedesi), norvegesi e danesi, non più di norreni. Passo dunque ad elencare la data e la descrizioni delle principali festività. In calce troverete le fonti, come sempre.
Festività
Jólablót: tra mǫrsugr e þorri, ovvero tra il 13 e il 14 gennaio.
È la festa/sacrificio di metà inverno, chiamato anche ”Miðsvetrablót”, traducibile letteralmente con “sacrificio di mezzo inverno”. In assoluto una delle festività più importanti per i norreni, la veizla successiva durava dai 3 ai 5 giorni, ma ci sono casi citati da Snorri che parlano adirittura di 15 giorni di veizla. Il sacrificio tipico era un maiale a Freyr. Oggidì nei paesi scandinavi, nonostante il predominio cristiano, è rimasto il nome Jul (discendente da Jól) per indicare il Natale di Gesù e a Natale tradizionalmente si mangia solo carne di maiale. Nel neopaganesimo viene festeggiato il 21 dicembre, durante il Solstizio d’Inverno.
Þorrablót: tra þorri e glói, ovvero tra il 14 e il 15 febbraio.
È il sacrificio a Þórr, protettore dell’umanità, durante i mesi più freddi (“þorri” non deriva da Þórr, significa proprio ”gelido”, e il nome del blót deriva dal nome del mese, þorri). In ogni caso il þorri fu dedicato a Þórr ed il Glói, successivo, a sua figlia Glóa, pertanto a cavallo tra i due si teneva un sacrificio in onore a Þórr. Nonostante il cristianesimo abbia soppresso il Þorrablót, durante il rinascimento islandese del 19esimo secolo fu introdotta l’usanza di mangiare il cosiddetto Þorramatur, una scelta di cibi tradizionali in onore del Dio del Tuono.
Hǫkunótt: tra einmánuðr e harpa, ovvero tra il 14 e il 15 aprile.
Una delle poche festività a non includere un sacrificio, sancisce l’inizio dell’estate, o meglio del periodo estivo, chiamato nóttleysi in norreno, che era anche una delle due stagioni dell’anno (l’altra è lo skammdegi, il periodo invernale). Per tradizione si accende un fuoco e lo si alimenta per tutta la notte.
Sigrblót: tra sólmánuðr ed heyannir, ovvero tra il 14 e il 15 luglio.
È il sacrificio alla vittoria, e ad Óðinn. Festività seconda per importanza ed imponenza solo allo Jólablót, in realtà era molto più importante per i vichinghi, poiché sanciva l’inizio delle razzie ed ingraziarsi Óðinn era fondamentale. Inoltre è noto per essere uno dei pochi blót che in passato venivano festeggiati sacrificando vegetali, tipicamente mele e foglie, anziché animali. La veizla non era lunga e duratura come quello dello Jólablót, ma era molto imponente: si dice – è solo una diceria islandese non confermata da fonti scritte – che i re mettessero a disposizione tutte le loro cibarie per la festa, probabilmente per dimostrare di essere degni di Óðinn. Il nome significa “sacrificio alla vittoria”, Sigrfǫðr (padre della vittoria) è anche uno degli epiteti di Óðinn. Viene festeggiato il 21 giugno dai neopagani, durante il Solstizio d’Estate.
Várblót: tra heyannir e þvímánuðr, ovvero tra 14 e 15 agosto.
È un blót tipico dei contadini, dedicato a Vár, dea dei legami e dei giuramenti, per il proprio legame con la terra durante la mezza stagione d’agricoltura. Nonostante ciò, si hanno fonti di molti re e proprietari terrieri che partecipano attivamente al Várblót, oltre che ai contadini. Oltre a Vár, erano invocati anche Freyr e Freyja, dèi della fertilità. Il sacrificio tipico era una spiga di grano ed un maiale.
Vetrablót: tra haustmánuðr e gormánuðr, ovvero tra 14 e 15 ottobre.
È il blót di fine anno, il corrispondente del nostro Capodanno, ma anche d’inizio inverno. Il nome infatti significa “sacrificio d’inverno”. Tuttavia, lo haustmánuðr è l’ultimo mese nell’anno norreno ed il gormánuðr il primo, pertanto il Vetrablót sancisce anche l’inizio del nuovo anno. È molto imponente come sacrificio, in quanto si sacrificava molto: maiali, cavalli, e addirittura uomini ogni 9 anni. Non è da meno la veizla successiva: si beveva l’idromele preparato l’anno prima. Il Vetrablót risente di pesanti influenze celtiche, precisamente dal ben noto Samhain, ma l’inverno arrivava prima in Scandinavia, perciò è leggermente antecedente allo stesso. Anche l’usanza di bere molto idromele è tipica del Samhain. Si invocano tutti gli dèi: sia Asi che Vani sono chiamati alla benedizione dell’anno venturo e al far superare l’inverno. Tradizionalmente viene pronunciata la frase “til árs ok friðar”, ovvero, ”per la pace e la prosperità”. Il Vetrablót coincide anche con un’altra festività: la vetranótt o vætrnætr, ”notte d’inverno” o “notti d’inverno”, che sancisce l’inizio del periodo invernale (skammdegi).
Álfablót: tra gormánuðr e frermánuðr, ovvero tra 14 e 15 novembre.
È un sacrificio a carattere familiare, dunque privato e non pubblico, simile ai Feralia romani. Infatti durante lo Álfablót, ”sacrificio agli elfi”, veniva richiesta la protezione degli stessi sui propri morti, sull’avere cura di essi nel mondo degli dèi. Originario della Svezia, si propagò in quasi tutto il mondo norreno, come ci informa Snorri, ma rimase sempre a carattere privato e mai pubblico. Le famiglie sacrificavano sovente un albero di melo, il preferito, secondo la tradizione, dagli elfi; ma non mancano i sacrifici animali. Nonostante lo scopo “lugubre”, era in realtà una festività, e ne seguiva una veizla, sempre familiare.
Dísablót: il primo è a metà gormánuðr, ovvero il 31 ottobre, l’altro a metà einmánuðr, ovvero 31 marzo.
Sono dei sacrifici alle dísir (dise), ma anche alle norne, alle valchirie, alle volve e alle vatte. La data degli stessi è variabile: molti norreni li festeggiavano in concomitanza con Vetrablót e Sigrblót, o nei giorni adiacenti ad essi, ma la tradizione più diffusa era a metà del primo mese dell’anno, il gormánuðr, e del sesto, lo einmánuðr, ovvero, alla distanza di 6 mesi precisi, e dunque a metà anno ciascuno. Durante questi sacrifici, che in genere erano di pollame – ma anche umani – , si chiede alle dise protezione sulla propria anima, alle norne un buon destino, alle valchirie di essere accolti tra gli dèi, alle volve si pongono domande esistenziali e alle vatte si richiede una Natura favorevole.
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