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Il Þorrablót prende il suo nome dal mese di þorri (al genitivo, þorra), ed è una delle principali festività norrene. Le sue origini sono incerte, viene citato solo nel Flateyjarbók, che lo descrive come un sacrificio tenuto alla fine del mese þorri, mese correlato a Þorri, il re mitologico discendente da Fornjót citato anche nella Orkney saga, il cui nome (che in norreno significa “neve ghiacciata”) sembra essere tra l’altro collegato a Þórr (che significa “tuono”). Sembra che lo stesso mese di þorri potesse essere anticamente legato al dio Þórr e non al re mitologico Þorri. In ogni caso, il Flateyjarbók nella raccolta Hversu Noregr byggðist (“Come la Norvegia fu fondata”) cita il Þorrablót quando si parla del blót successivo (Góablót):
«Un inverno al Þorrablót accadde che Gói si perse, e la cercarono, ma non riuscirono a trovarla. Quando il mese finì, re Þorri fece procastrinare il blót, dunque tennero un altro blót per chiedere di trovare dove Gói si fosse persa; e lo chiamarono Góablót. Ma ancora non sanno dove ella sia finita.» (Frá Fornjóti ok hans ættmǫnnum, Hversu Noregr byggðist, I)
Da questo passo del 1° capitolo della suddetta raccolta possiamo evincere la data sia del Þorrablót sia del Góablót, basandoci sulla corrispondenza del calendario norreno con quello gregoriano: il góamánuðr, il mese nominato alla ricerca di Gói, va dal 15 febbraio al 14 marzo; il capitolo dice che la ricerca di Gói iniziò al Þorrablót, pertanto, esso è tra il 14 e il 15 febbraio, la fine del mese di þorri e l’inizio del góamánuðr.
Se cosa venisse sacrificato e la sua festa rimangono avvolte nell’oblio della non trascrizione dettagliata in nessuna saga, rimane tuttavia la tradizione, grazie soprattutto agli islandesi. Forte è infatti l’usanza di consumare il þorramatur, letteralmente “cibo del þorri”, durante questa festività, riportata in auge del tutto durante il 19esimo secolo in Islanda, e probabilmente mai abbandonata ma solo celata durante il selvaggio e brutale predominio cristiano dell’isola.
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