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Il significato di un nome, da parte delle popolazioni germaniche, è ritenuto estremamente importante.
I norreni, fin dalle prime fonti storiche, utilizzavano un sistema di addizione dei nomi in base alle qualità di una persona. Il “nome completo standard” era formato da due nomi: il proprio e il patronimico/matronimico (vedi sotto). In addizione, tuttavia, si potevano aggiungere le cose più svariate: non solo secondi nomi o soprannomi, ma anche “sacerdote / sacerdotessa di ...” dove i puntini sono il dio/dea; “marito / moglie di ...”, eccetera. Inoltre, i membri degli ættir, i clan norreni, aggiungevano in automatico il nome del ætt al proprio.
Primo nome
Anzitutto accantoniamo il discorso del secondo o terzo nome per chiarire per bene il primo. Il primo nome, o nome proprio, come detto all’inizio, è molto importante, poiché per i germanici il significato conta. Anche la sua forma è molto importante. Pertanto va chiarito che la forma corretta dei nomi usa la [ǫ] e non la [ö]. Fino agli anni duemila circa si è usata la [ö] poiché non tutti i computer erano dotati di Unicode e quindi molti non visualizzavano la O caudata (la Ǫ/ǫ per l’appunto) ed inoltre il 99% delle trascrizioni è ad opera di islandesi, che usano tale lettera per indicare il fonema identico col norreno.
Tuttavia i testi originali come l’Edda Antica (poetica) o le poesie scaldiche usano la [ǫ] e addirittura la [ę] (che nella grafia standard del norreno invece è resa con la [æ]). Chiarito ciò, per scegliere il primo nome basta trovare un elenco ed utilizzare il nome nella sua forma comune.
Secondo nome
Quando la popolazione crebbe, venne fuori anche la necessità di un secondo nome per differenziare gli individui. Questo è totalmente identico al primo, ovvero, non segue nessuna declinazione e semplicemente è un secondo nome. Al giorno d’oggi tutti gli islandesi hanno un secondo nome.
Patronimico o matronimico
Come detto prima, il “cognome”, di base, è costituito dal patronimico, o raramente dal matronimico. Cos’è il sistema patronimico? È un sistema che fu usato anche nell’Antica Roma, che prevede “nome proprio” più “figlio / figlia di ...” dove i puntini sono il nome del padre, ovviamente, in norreno come in latino, nella sua coniugazione possessiva. Per fare un esempio, un patronimico latino è “de Laurentiis”, ovvero “di Lorenzo” (Laurentius). In norreno, il concetto è lo stesso, ma il risultato si agglomera. Un esempio pratico: “figlio di Bjǫrn” si traduce con “sonr Bjarnar”, dove “sonr” vuol dire “figlio” nella sua coniugazione accusativa e “Bjarnar” è la coniugazione genitiva (altresì detta “possessiva”) di “Bjǫrn”. Ma, quando integrato in un nome, diventa “Bjarnarson”. Dato che le coniugazioni possessive al singolare sono suddivise in cinque “coniugazioni comuni” più altre irregolari, e che “figlio” è differente da “figlia”, approfondirò il discorso.
Per i maschi, “figlio di” si forma con la radice “-son”, mentre per le femmine, “figlia di” si forma con la radice “-dóttir”.
Le declinazioni possibili in norreno per il possessivo singolare sono cinque, ma ci sono moltissime irregolarità.
1ª declinazione: per i nomi che finiscono in “I”, la declinazione è quasi sempre “A”. Esempio: “Loki” diventa “Loka” al possessivo. Ciò vuol dire che “figlio di Loki” non è l’errato “Lokisson”, bensì “Lokason”; mentre “figlia di Loki” è “Lokadóttir”.
2ª declinazione: per i nomi che finiscono in “A”, la declinazione è quasi sempre “U”. Esempio: “Sturla” diventa “Sturlu” al possessivo.
3ª declinazione: per i nomi che terminano in qualsiasi altra lettera (eccezion per la 4ª e 5ª declinazione) la declinazione è “S”. La “R” e la doppia “N” finale di droppano in favore della “S” ove presenti. Esempi: “di Óðinn” è “Óðins”, la “N” finale è stata tolta per far spazio alla “S”. Tuttavia “di Hrafn” è “Hrafns”, perché la “N” è singola. Invece “di Frenrir” è “Fenris”, perché la “R” si togliere anche se singola, così come “di Úlfr” è “Úlfs”.
4ª declinazione: quasi tutti i nomi femminili, indipendentemente da in quale lettera terminano, seguono la declinazione con “AR” oppure “JAR” in caso di nome terminante in “vocale essenziale” (ǫ, ø, æ, œ, y e tutte le vocali lunghe). Per esempio, “di Úlfhildr” è “Úlfhildar”, non “Úlfhilds”; mentre “di Álfný” e “di Bullǫ” sono rispettivamente “Álfnýjar” e “Bullǫjar”, poiché la “Ý” e la “Ǫ” non possono essere eliminate in quanto “vocali essenziali”. Oltre alle irregolarità qua va anche aggiunto il fatto che molti nomi femminili – proprio perché irregolari – seguono le normali prime tre declinazioni. Questo è importante da tener a mente per i matronimici.
5ª declinazione: tecnicamente è un’irregolarità, ma è la più diffusa, perciò viene spesso contata come una quinta declinazione. Molti nomi maschili terminanti in consonante o vocale declinano al possessivo con “AR”, come se fossero femminili; questo perché alcuni nomi (e parole in generale) norrene non fanno distinzione tra singolare e plurale, e il possessivo plurale è quasi sempre “AR”. Un esempio è “di Halfdanskr”, che diventa “Halfdanskar” anziché “Halfdansks”.
Come sapere con precisione come declinare il nome di vostro padre o vostra madre? Le uniche soluzioni sono parlare fluente islandese o norreno; oppure munirsi di un elenco di declinazioni nominali islandesi, poiché combaciano al 100% con quelle norrene (sebbene i nomi islandesi siano un po’ differenti), o ancora chiedere a chi le conosce; o, infine, avere fortuna e trovare il nome che si desidera coniugare alla perfezione nei testi norreni. In ogni caso è di certo meglio seguire le regole delle cinque coniugazioni che coniugare tutto aggiungendo sempre la S come se fosse inglese o una lingua moderna!
Eventuali altri nomi
Come detto all’inizio, i norreni univano spesso eventuali altri nomi al primo (ed eventualmente secondo) e al patronimico/matronimico. Tutti i membri degli ættir aggiungevano il nome dello ætt al proprio. Per esempio, Bjǫrn figlio di Sveinn dello ætt Vargingr sarà chiamato Bjǫrn Sveinsson Vargingr. Se poi Bjǫrn si sposasse con Ǫlrún, allora diventerebbe Bjǫrn Sveinsson Ǫlrúnarverr Vargingr. Se, sempre il nostro Bjǫrn Sveinsson, divenisse sacerdote di Máni, allora anche il suo nome diverrà Bjǫrn Sveinsson Ǫlrúnarverr Mánagoði Vargingr. E se avesse anche Úlfr come secondo nome? Avrebbe dunque Bjǫrn Úlfr Sveinsson Ǫlrúnarverr Mánagoði Vargingr. In pratica, sarebbe impossibile trovare un suo omonimo, e il suo nome rispecchia in pieno la sua vita o la sua personalità, ed è dunque un nome che lo contraddistingue davvero, a differenza di quel che possano avergli assegnato i genitori alla nascita.
Note finali
I nomi norreni tradizionali sono sopravvissuti fino al 1800 sia in Svezia, sia in Danimarca, sia in Norvegia. Nel 1804, Bernadotte, un francese, divenne Re di Svezia, ed instaurò i classici cognomi ereditari europei. Dato che nel sistema ottocentesco europei i figli prendevano tutti i cognomi del padre (in Italia ancora oggi...), nel giro di una generazione tutti i “dotter” (evoluzione di “dóttir”) furono annientati. Inoltre, ciò creò un’enorme imprecisione, diffusa ancora oggi: Erik Johansson era effettivamente figlio di Johan nel 1804, ma nel 1820 suo figlio Sven prendeva il cognome del padre, e dunque non nasceva come Sven Eriksson, bensì come Sven Johansson, anche se in realtà Johan era suo nonno, non suo padre. Peggio ancora per le femmine: sempre nel 1820, Edda figlia di Erik Johansson nasceva come Edda Johansson, ovvero come “figlio di Johan”, anziché Eriksdotter, ovvero “figlia di Erik”. Questo è il motivo per cui “Johansson”, “Eriksson”, “Gunnarsson”, eccetera, sono tra i cognomi più diffusi ancora oggi in tutta la Svezia. Nel 1807, poi, Bernadotte (Regno di Svezia) annesse anche la Norvegia, portando questo puttanaio (scusate la parola!) anche oltre le Alpi Scandinave. Inutile a dirlo, i danesi, sebbene non tenuti a farlo, adottarono anche loro questo sistema ereditario dei patronimici nel 1809.
In pratica, l’unica nazione che si è salvata completamente dai capricci di Bernadotte è stata l’Islanda, poiché era sì sotto il Regno di Danimarca ma a statuto speciale. In Islanda ancora oggi si usano i patronimici ed i matronimici, e possono farlo perché gli abitanti sono solo circa 300.000; mentre è impossibile oramai tornare a ciò in Scandinavia per la confusione che si creerebbe. Tuttavia molte famiglie tradizionaliste scandinave assegnano ancora oggi come secondo nome il patronimico. Perciò abbiamo Varg Larssøn Vikernes, dove Varg è il nome, Larssøn il patronimico (figlio di Lars) e Vikernes il cognome, in comune con Lars, suo padre, e che trasmetterà a suo figlio.
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